In questo post dovremo affrontare un
altro argomento ostico, ovvero attraverso quali principi gli isotopi stabili ci possono fornire dati sull'ambiente, la
paleodieta o il clima (quest'ultimo è il caso che prendiamo qui in esame a titolo di esempio).
Isotopi diversi di uno stesso elemento
non sono presenti, sulla Terra, in quantità uguali. Nel caso del
Carbonio, ad esempio, se prendiamo in considerazione i due isotopi
stabili 12C e 13C ci accorgiamo che il primo è
molto più abbondante del secondo, dal momento che rappresenta poco
più del 98,8% del totale del Carbonio sul nostro pianeta, mentre 13C
è presente solo con un valore di poco superiore all'1,1%. La
frazione restante, appena lo 0,0000000001% (ovvero 1x10-10 %), è rappresentata dall'isotopo radioattivo instabile 14C. Il
rapporto tra il numero di atomi di un determinato isotopo di un
elemento e il numero totale di atomi dell'elemento stesso si chiama
abbondanza isotopica; di
solito in natura l'isotopo più leggero (quindi con un minore numero
di neutroni) è quello più abbondante.
Gli
isotopi hanno, inoltre, un'altra caratteristica fondamentale
particolarmente utile per le nostre analisi: poiché, come abbiamo
visto, gli isotopi di uno stesso elemento hanno massa diversa, le
loro proprietà fisiche e chimiche sono diverse. In particolare gli
isotopi più pesanti presentano tendenzialmente legami più forti con gli altri
atomi di un composto e questo fa sì che le reazioni chimiche tendano a concentrare in
proporzioni diverse gli isotopi di un determinato elemento nelle
sostanze che esse finiscono con il formare e nei reagenti utilizzati.
Questo processo prende il nome di frazionamento isotopico.
Immagino già i
volti perplessi di buona parte dei miei lettori, ma il principio è
più semplice di quanto sembri a prima vista e basterà un piccolo
esempio per comprenderlo meglio.
Riempiamo
d'acqua una pentola e mettiamola su un fornello della cucina. Le
molecole di H2O
all'interno della pentola conterranno i due più comuni isotopi
dell'Ossigeno (16O
e 18O)
in una determinata proporzione (diciamo, per comodità 16O
= 99,76% e 18O
=0,20%). Ora accendiamo il fornello e portiamo ad ebollizione
producendo vapore acqueo: la molecole di acqua contenenti 18O
(H218O)
evaporano con maggiore difficoltà rispetto quelle che contengono 16O
(H216O)
– più correttamente si dice che esse hanno una tensione di vapore
più bassa. Questo vuol dire che, man mano che l'evaporazione
continua, l'acqua della pentola conterrà una percentuale di 18O
sempre maggiore: l'isotopo più pesante è quindi più concentrato
nel liquido bollente rispetto a quanto osservabile nel liquido a
temperatura ambiente.
Tutto più chiaro adesso? Bene, con un
ultimo sforzo cercherò ora di spiegare come il frazionamento
isotopico ci permetta di ricavare informazioni su climi, ambienti e
alimentazione nel passato, il tutto continuando a ragionare sui due
isotopi più comuni dell'Ossigeno.
L'evaporazione dell'acqua non avviene
solo quando la facciamo bollire. Se lasciamo mezzo bicchiere d'acqua
in giro per casa vedremo che la quantità di liquido diminuirà,
anche se lentamente, con il passare del tempo. L'acqua degli oceani
evapora in continuazione, anche se non c'è nessun fornello acceso
che la faccia bollire, essa tenderebbe, perciò, a perdere 16O
e ad arricchirsi di 18O, tuttavia l'acqua evaporata torna
ai mari, direttamente o indirettamente attraverso i fiumi, sotto
forma di piogge e quindi il rapporto tra 16O e 18O
si mantiene costante. Nelle fasi climatiche più fredde, tuttavia, le
calotte polari e i ghiacciai perenni si estendono “imprigionando”
acqua che non torna ai mari che, quindi, si arricchiscono di 18O.
Nei periodi a clima più caldo, viceversa, lo scioglimento dei
ghiacci immette nuova acqua in circolo che riequilibra il rapporto e
che, se il clima è così caldo da provocare lo scioglimento di una
quantità di ghiaccio molto elevata, può addirittura invertire la
tendenza aumentando la concentrazione di 16O.
In pratica, nei periodi in cui il clima
globale era più caldo dell'attuale si aveva una concentrazione
maggiore di 16O rispetto a quella osservabile oggi, mentre
si avevano valori di concentrazione minore quando il clima globale
era più freddo. Resta solo un problema: dove trovare acqua “del
passato” da cui ricavare i dati? Una prima possibilità sono i
carotaggi condotti in ambienti la cui temperatura esterna non sia mai
superiore agli 0° C (calotte polari o ghiacciai perenni), una
seconda possibilità è quella di sfruttare, in modo indiretto, i
gusci calcarei di piccoli organismi marini, i foraminiferi. I loro
gusci sono composti, infatti, essenzialmente da carbonato di Calcio
(CaCO3) che, come visibile dalla formula chimica,
comprende tre atomi di Ossigeno. Questo Ossigeno è ricavato
direttamente dalle acque in cui i foraminiferi vivono (o vivevano) e,
perciò, ne rifletteranno le percentuali di 16O e 18O:
per una stessa località della terra i gusci di foraminiferi vissuti
in epoche più fredde presenteranno valori di concentrazione di 18O
più elevati, tanto maggiori quanto più freddo era il clima. Molti
dei foraminiferi fanno parte del plancton che pullula nelle acque
oceaniche e sul fondo degli oceani si ha una specie di pioggia
continua di questi organismi morti che restano intrappolati nei
sedimenti che, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio
continuano a formarsi. Bingo! A questo punto ho tutto ciò che mi
serve: isotopi dell'ossigeno, campioni contenenti enormi quantità di
organismi marini, strati e strati in grado di coprire intervalli
cronologici estesi e databili con varie metodologie.
Con una serie di carotaggi dei fondali
marini è quindi possibile ricostruire in modo puntuale le
oscillazioni climatiche del passato. In pratica, si prelevano carote
di sedimenti lunghe decine di metri, si campionano i sedimenti a
distanze dell'ordine di alcuni centimetri e dai campioni si
estraggono i foraminiferi. Si procede quindi con una misura del
contenuto di 16O e 18O nei foraminiferi dei
vari campioni e si traccia, calcolando i parametri opportuni, una
curva delle variazioni rilevate in funzione della profondità.
Datando opportunamente i vari campioni, infine, la curva può essere
messa in relazione alla cronologia fornendoci perciò una misura
delle oscillazioni nel volume dei ghiacci sulla Terra e, quindi, del
clima.
Curva SPECMAP basata sugli isotopi dell'Ossigeno che illustra le oscillazioni climatiche degli ultimi 800.000 anni (Imbrie,
J., J.D. Hays, D.G. Martinson, A. McIntyre, A.C. Mix, J.J. Morley,
N.G. Pisias, W.L. Prell, N.J. Shackleton, 1984. The orbital theory of
Pleistocene climate: support for a revised chronology of the marine
oxygen isotope record, In: A. Berger, J. Imbrie, J. Hays, G. Kukla,
B. Saltzman (Eds.), Milanković and Climate, Part 1-- NATO ASI
Series, C126: 269-305; Reidel, Dordrecht)
In realtà quello che viene utilizzato
per produrre le curve climatiche con gli isotopi dell'Ossigeno ( così come per gli studi sugli altri isotopi stabili) non è, in genere, né la semplice quantità dei due isotopi, né il semplice rapporto
frazionario R = 18O/16O
(l'isotopo più leggero viene messo al denominatore) detto Rapporto
di abbondanza, ma una quantità
diversa indicata dal simbolo d%0 che illustreremo nel prossimo post.